Come in molte cose di questo bellissimo hobby, l’esperienza è assolutamente importante, anzi direi basilare, tanto quanto lo studio che ci permette di capire quello che stiamo facendo e decidere se e quando farlo.

Molte parti del processo hanno una loro spiegazione fisico-chimica che ne descrive l’utilità e gli obiettivi. E’ indispensabile conoscere, e per conoscere è necessario studiare – non a caso ho usato il verbo “studiare” e non “leggere” o “informarsi“. Dobbiamo diventare “padroni” di quello che succede per decidere se e quando applicarlo a ragion veduta (non che io lo sia … anzi sono ancora in questa fase). Certamente un esempio è quello che è avvenuto nella penultima cotta con l’applicazione di una decozione che ha certamente aumentato il corpo di una 020.2 RAUCHBIER con una conseguente ed inevitabile attenuazione molto ridotta rispetto alla 028.0 SCHWARZBIER – v. il post “ATTENUAZIONE – un passaggio non considerato“.

Alla stessa stregua è indispensabile l’esperienza. Ci sono 2 livelli in cui l’esperienza interviene e “fa la differenza”.

Decisione e opportunità del fare

Come detto sopra esiste sempre una spiegazione chimico-fisica che descrive ciò che accade, ma la teoria è una cosa, l’esperienza è un’altra. Molti processi non sono mai “bianco/nero”, ovvero “avviene/non avviene”, ma ci sono sempre delle zone di “grigio”. Non solo “faccio/non faccio” ma esiste anche “un modo” di farle. Un esempio, ma è solo uno degli esempi, è, ancora una volta, la Decozione (v. post “DECOZIONE – una riflessione aggiuntiva“) – possiamo decidere, oltre al se farla o non farla, con quanta intensità applicarla, mediando su uno o più fattori (quelle che si chiamano anche leve) che abbiamo a disposizione:

  • posso farla con 1 o 2 o 3 step;
  • posso farla più o meno liquida oppure più o meno densa;
  • posso farla bollire più o meno (diverso se bollire 5min o bollire 15min o di più ancora)
  • posso farla facendo fare alla porzione prelevata le varie pause prima di arrivare al BOIL oppure portarla direttamente in BOIL con un run-up diretto
  • posso farla decidendo, per ogni singolo sep, in quale momento del mash principale farla, ovvero a quale pausa collegarla

Un secondo esempio è lo stesso MASH PRINCIPALE uno dei processi (il più centrale) dove è evidente come l’esperienza giochi un ruolo importante. Da un punto di vista chimico e di trasformazione degli enzimi e dei vari composti che andranno ad arricchire il nostro mosto, molte sono le fasi e le trasformazioni che avvengono nel corso del processo di MASH, a partire da 35°C fino ai finali 78°C dove tutto ha termine. A che temperatura fare l’infusione dei grani, ovvero quando iniziare il vero e proprio MASH, quali e quante pause fare, per quanto tempo le prolunghiamo, è frutto della esperienza, che in questo caso non è solo, miglioramento della capacità pratica, ma anche e soprattutto acquisizione nel tempo del bagaglio conoscitivo di ciò che è il risultato di una certa azione consapevolmente fatta. Trovo estremamente semplificante dire:

  • faccio un mash a 62°C perché voglio un mosto più fermentabile
  • faccio un mash a 68°C perché voglio un mosto con più corpo
  • faccio la pausa a 72°C perché voglio migliorare la schiuma

Anche se questa equazione è vera, concorderete che è un pò riduttivo pensarla così. Con ciò non voglio dire che il mono-step all’inglese (classicamente a 68°C) sia riduttivo. Certamente è una modalità di applicazione, l’importante, se decido di farlo, è farlo non per il semplice fatto che qualcuno l’ha “teorizzata” o perché qualcuno dice che lo fa abitualmente, ma perché voglio consapevolmente farlo, avendo presente tutti i pro e i contro di questa decisione e il risultato che mi consente di ottenere. Da questo deriva la estrema importanza di raccogliere i dati, registrarli e poi analizzarli nel tempo in modo critico, per migliorare e aumentare la consapevolezza di ciò che facciamo. L’esperienza non si fa in poche cotte, serve tempo, serve sperimentare, serve analizzare. Certo posso anche leggere quello che qualcuno ha già fatto – assolutamente importante – ma, almeno per quel che mi riguarda, lo ritengo parte della fase di ricerca e di studio, poi la devo fare per capire i pro e i contro, verificare i benefici rispetto ai costi (ovvero all’impegno) e poi trarne una mia conclusione, che potrebbe confermare ciò che ho letto, ma non necessariamente è la stessa di altri.

Pratica e abitudine del fare

Ma anche la pratica e l’abitudine nel fare le cose sono assolutamente importanti. Come raccontavo nel mio post “TRAVASO IN KEG – prima esperienza” è ovvio che “la prima volta” è sempre una scommessa. Gli imprevisti vanno sempre considerati e si deve sempre mettere in conto, quando decidiamo di attivare un nuovo pezzo di processo o modificare un pezzo di processo, che ciò richiede tempo per acquisire e padroneggiare la nuova pratica; devo considerare il tempo (e la fatica) di ripetere più volte, cambiare, migliorare, abituarsi a quel tipo di operatività. infatti nel mio post “AVVICINAMENTO ALLA CO2” iniziavo dicendo

Come sempre i cambi di processo, di metodo, di prassi, per me sono una fatica. Una fatica perché non mi piace farli “improvvisando”, e perché la sperimentazione porta con se errori, perdite, aggiustamenti in itinere etc..

Altra punto assolutamente importante è “non demordere” e “non scoraggiarsi” – I fallimenti, gli errori, le perdite sono una parte inevitabile nel percorso di conoscenza e di esperienza che ci porta alla corretta pratica, qui come in ogni altro settore, e soprattutto lo dobbiamo aver pianificato. Nel mio percorso lavorativo ho svolto spesso “pianificazione di progetto” in ambito informatico, e, credetemi, ciò che fa la differenza nel saper prevedere il più esattamente possibile il “come e soprattutto quando finirà un progetto” è proprio il “saper pianificare correttamente gli imprevisti”. Chiaro che non sappiamo quale sarà l’imprevisto, altrimenti tale non sarebbe, ma ignorare che ciò accadrà è un errore.

CONCLUSIONE

Per tornare a noi e al nostro “Stiamo provando a fare buona Birra !” certamente non critico e non ritengo assolutamente sbagliato chi decide di fare un mash mono-step a 68°C di 50min, non fare fly-sparge, filtrare il tutto in 10min (magari in BIAB), fare un BOIL di 40min e chiudere una cotta in 2h, l’importante che lo faccia perché è consapevole di ciò che vuole, di ciò che questo comporta e del risultato atteso che si può ottenere; risultato che può essere assolutamente di alta qualità, così come chi fa tutti gli step dall’inizio alla fine a volte ottiene un risultato del tutto mediocre o addirittura pessimo. Infatti non è questo il punto, non è “la faccio più o meno complicata”, ma lo faccio consapevolmente “al meglio”. Viceversa non concordo assolutamente sulla tipica frase “faccio così perché si è sempre fatto così” o “faccio questo perché ho letto che si fa così”; per me la consapevolezza, la conoscenza di ciò che sto facendo è fondamentale; ma anche la condivisione di quelli che sono i “successi”, le “sfide”, “gli errori” e le “riflessioni” sono un modo per analizzare criticamente, come si dice, “a bocce ferme”, quello che è successo.

vedi PROFILO

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