TERRITORIO

Eccoci in AMERICA, più precisamente sulla COSTA OVEST, più precisamente in CALIFORNIA, più precisamente sulla BAIA DI SAN FRANCISCO. L’America è il continente che ha meno birre storicamente autoctone, ma è, al tempo stesso, il continente che ha guidato la rivoluzione post-industriale della birra CRAFT; la nazione dove tutto è sempre “over” (più grande), e, sempre seguendo lo stereotipo, anche la birra è sempre (molto spesso) “over” (oltre le righe). E’ proprio la caratteristica territoriale di quest’area, soleggiata, mite e umida, che ha caratterizzato questa birra che, come vedremo nel prossimo paragrafo, è di fatto la birra iconica che bevevano i COWBOYS nei SALOON del vecchio WEST (1848–55).

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Un territorio che (a ragione) nell’immaginario collettivo è associato al sole, al caldo, alle spiagge. Ma è proprio in quegli anni che, nel vecchio continente, si affacciavano oramai le birre LAGER. Per la Germania è facile immaginare come la temperatura, certamente più rigida e asciutta, aiutasse molto questo metodo di birrificazione; si utilizzavano lieviti a bassa fermentazione che appunto per fermentare richiedevano basse temperature; nonostante all’epoca non esistessero frigoriferi o sistemi refrigeranti, si poteva contare su temperatura piuttosto basse. Anche nei mesi estivi, grazie alle grotte scavate nella roccia, si riusciva a mantenere una temperatura molto più bassa di quella esterna, e le birre risultavano molto buone. In CALIFORNIA la questione era più complicata – per lo meno lo era ai tempi. La temperatura era mite in Inverno e molto Calda in Estate; a quell’epoca, senza sistemi di refrigerazione, diventava complicato riuscire a fermentare a temperature basse, e i primi tentativi, quasi sicuramente, portavano a risultati non eccelsi. Si ricordi che in quell’epoca parliamo di lieviti a bassa fermentazione senza (ancora) la consapevolezza che tali fossero – per migliaia di anni la fermentazione è sempre stata considerata una “magia”, una pratica che si tramandava perché, applicandola, si riusciva ad ottenere una buona birra, senza che questo “effetto” avesse una spiegazione scientifica. Infatti è solo nel 1858 che Pasteur riesce a dimostrare che il processo fermentativo è una questione biologica, e solo nel 1883 che Emil Christian Hansen propaga il primo ceppo di lievito in laboratorio, e nasce il “Saccharomyces carlsbergensis” il lievito a bassa fermentazione, oggi ribattezzato “Saccharomyces pastorianus”. In quei tempi non troppo lontani, si inoculava questo “intruglio” raccolto e conservato dalle precedenti cotte, quasi fosse una “pozione magica”, custodita e tramandata di generazione in generazione; questi passaggi reiterati, con ogni probabilità, consentirono a quei “lieviti” di adattarsi e migliorarsi rispetto alle condizioni in cui poi sarebbe stati fatti fermentare.

STORIA

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CALIFORNIA COMMON è solo il nome attuale di quella che invece era la storica STEAM BEER. “Steam beer” è di fatto il nome della birra che Fritz Maytag, nel 1981, registrò, a nome della Anchor Brewing Company di San Francisco, storico birrificio nato nel 1871 e che aveva rilevato nel 1965, salvandolo da un destino segnato di chiusura e cancellazione. Non solo, decise di puntare sulla steam beer, birra storica e iconica, anche se, in quegli anni, il dilagare delle birre lager industriali aveva ormai invaso il mercato. Migliorò quella che era una birra “appena bevibile” e la trasformò in una birra “gustosa e armoniosa”, e trovò sul mercato il suo successo. Di fatto, con la registrazione nel 1981 del marchio “STEAM BEER”, Fritz Maytag legò indissolubilmente il nome “Steam Beer” alla Anchor Brewing Company, e da quel momento non fu più possibile utilizzare il nome “Steam Beer”, che era riservato esclusivamente alla birra prodotta dalla ANCHOR BREWING.

Per la cronaca,  nel 2010 Maytag decide di vendere la ANCHOR alla compagnia di consulenze e investimenti Griffin la quale, a sua volta, sette anni più tardi, nel 2017, dopo un periodo di forte involuzione, cedette le quote a favore della multinazionale SAPPORO, colosso dell’Industria della birra; a sua volta la SAPPORO non riuscì a (o non volle) risollevare le sorti dello storico birrificio e, complice anche la parentesi certamente negativa del COVID, ne ha deciso la chiusura nel recente luglio 2023.

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La re-interpretazione di quella birra (perché di quello parliamo), venne ribattezzato, per il resto del mondo, in CALIFORNIA COMMON. Ma facciamo il classico passo indietro. Dicevamo sopra che tutto partì nella seconda parte del XIX secolo – affermazione non storicamente corretta, perché la birra non è una invenzione del XIX secolo, ma noi, per questo stile, da lì partiamo. Probabilmente anni addietro qualche immigrato che arrivava dalla Franconia (non lo sappiamo con precisione ma ci sembra la cosa più probabile) volle provare a replicare una birra da lui conosciuta, portandosi con se il suo “ceppo di lievito” a bassa fermentazione – o meglio un “lievito” che, nel tempo, si era abituato, in Germania, a lavorare a quelle basse temperature. Nella storia dello stesso birrificio ANCHOR si legge:

Anchor Brewing has roots that date back to the Gold Rush, when pioneer brewer Gottlieb Brekle arrived in San Francisco from Germany.

Anchor Brewing ha radici che risalgono alla corsa all’oro, quando il pioniere della birra Gottlieb Brekle arrivò a San Francisco dalla Germania.

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Il nostro ipotetico immigrato proveniente dalla Germania, si scontrò inevitabilmente con le temperature della California, e, questo abitante del vecchio continente, resosi conto della impossibilità di birrificare a quelle temperature, probabilmente si ingegnò nel cercare un modo per fermentare il mosto che aveva prodotto e riuscire ad ottenere una birra come la ricordava. Qui nasce una delle ipotesi (la più probabile) a cui si fa risalire il nome STEAM, che in Inglese significa “fumo”/”evaporazione”. Questa ipotesi è supportata anche dalla documentazione storica, che riporta l’abitudine, diffusasi all’epoca soprattutto nell’area di San Francisco, di far fermentare il mosto in vasche basse, larghe e soprattutto aperte. Questo sistema permetteva di abbassare più velocemente la temperatura del mosto, mettendolo a fermentare all’aria aperta nei sottotetti dei birrifici all’interno di queste larghe vasche; il contatto con l’aria e l’umidità notturna contribuiva al più veloce abbassamento della temperatura del mosto. Queste vasche, poste sui tetti dei birrifici, erano ben riconoscibili anche a distanza; il mosto caldo a contatto con l’aria fresca produceva vapore (fumo) che saliva nell’aria. Questa immagine, con il tempo, era diventata un segno distintivo che, nell’immaginario collettivo di quell’epoca, veniva associato alla produzione/disponibilità di Birra in quel luogo. Molto diffusa all’epoca anche l’abitudine verbale di identificare la birra con la parola “Steam”, utilizzata per chiederne la mescita o per parlare di essa. Certamente l’esistenza della “steam beer”, quindi, è precedente alla data di inizio della sua produzione (1871) da parte di quel birrificio che poi nel 1896 fu rinominato Anchor.

Come qualcuno già conosce, nella storia della birra in America, il XIX secolo, fino ai primi decenni del XX secolo fu, un periodo molto fiorente per la nascita di molti birrifici. Fu nel 1920 che, tramite il XVIII emendamento e il Volstead Act, venne sancito il bando sulla fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di ALCOOL; quel periodo buio per la storia della birra in America viene conosciuto e raccontato come “IL PROIBIZIONISMO“. L’impossibilità di produrre ALCOOL (quindi anche Birra) provocò inevitabilmente la chiusura di molti birrifici; un minimo di produzione e distribuzione rimase vivo con il mercato nero, ma solo pochi birrifici sopravvissero a quell’epoca; anche e soprattutto gli Americani iniziarono a cambiare le abitudini, rivolgendo le proprie richieste ad altri tipi di bevande. Il Birrificio Anchor modificò anch’esso la propria produzione nel tentativo di sopravvivere, fino a quando nel 1965, quando ormai il destino della ANCHOR era segnato, arrivò Fritz Maytag. L’intervento di Fritz Maytag fu provvidenziale, lo rilevò e tra le pochissime ricette che sopravvivevano, si concentrò, riesumandola, sulla STEAM BEER (“quella birra che abitualmente beveva”), che inizio (riprese) a produrre e a distribuire con successo sul mercato, migliorandone il profilo e la qualità. Come detto sopra fu nel 1981 che ne registrò il nome come marchio tutelato, acquisendone la proprietà e l’uso esclusivo, determinando di conseguenza la nascita del nome CALIFORNIA COMMON, nuovo identificativo dello stile che si rifà appunto alla storica Steam Beer.

CARATTERISTICHE DELLO STILE (v. BJCP-2021 CAT.19)

E’ evidente che la birra, da quel lontano epico passato, legato all’epopea del WEST che tutti conosciamo, nel trascorrere degli anni, inevitabilmente, ha cambiato le sue connotazioni. Come dicevamo poco sopra, lo stesso Fritz Maytag ne cambiò la ricetta, migliorandone profilo e qualità. Nel XIX secolo si produceva birra utilizzando gli ingredienti che erano disponibili, oggi abbiamo a disposizione malti ben trasformati, chiari, crystal a diversi livelli di tostatura, e la scelta è veramente molto ampia. Certamente parliamo di una birra Ambrata – il BJCP la inserisce nella categoria 19 “AMBER AND BROWN AMERICAN BEER” (v. BJCP-2021 CAT.19), se pur all’interno della categoria è di fatto la birra ambrata più chiara con un range EBC 17,7-27,6 (SRM 9-14). Se rimaniamo aderenti al BJCP, e alla storia, è preferibile l’utilizzo di un lievito LAGER fatto fermentare a temperature più elevate, benché si possa tranquillamente utilizzare anche un lievito ALE che però abbia un profilo piuttosto neutro (come ad esempio un US-05). Ma andiamo alla sintesi dei numeri previsti dal profilo dello stile BJCP:

OG: 1.048 – 1.054 FG: 1.011 – 1.014 IBUs: 30 – 45SRM: 9 – 14ABV: 4.5 – 5.5%

Sicuramente una birra dove predomina il profilo del MALTO, con note di miele, leggero tostato (non bruciato) e caramello; un corpo medio sostenuto da un amaro pronunciato e caratterizzato dai luppoli Terrosi, resinosi, floreali e leggermente mentolati e balsamici tradizionali del mondo Americano, ma molto meno pronunciati rispetto a quelli moderni (quindi non fruttati e non citrici). Un finale tendente al secco e al croccante che ne determina una facile bevibilità e una buona scorrevolezza.

GRIST

Sul Grist sicuramente si deve partire dal malto base. La scelta è, come sempre, tra PILSNER e PALE. Secondo me dipende dalla complessità che si vuole dare con gli altri malti del grist. Se mettiamo altri malti base quali MONACO e/o VIENNA e diversi livelli di Crystal (o Cara Malt), magari aggiungendo anche un Malto Melanoid, si può optare per una base consistente di PILSNER, al contrario se stiamo più “contenuti” con altri malti base e con i malti speciali, magari utilizzandone solo 1 o 2, allora forse come base conviene stare sul malto PALE o almeno un mix tra PILSNER e PALE. Anche il colore ha una sua importanza, ovviamente utilizzando il PILSNER possiamo contenere maggiormente il colore complessivo. Certamente una minima percentuale di CARAFA oppure ROASTED BARLEY oppure CHOCOLATE, è da prevedere, anche per portare un pò dei sentori di Caffè e/o Cioccolato, ma facendo attenzione ad evitare il Tostato eccessivo – il bruciato va evitato. Una buona idea è utilizzare il CARAFA SPECIAL Type 2 che utilizza orzo decorticato e riesce a mantenere un profilo tostato senza sentori di bruciato. La mia personale preferenza è sul ROASTED BARLEY che consente di ottenere riflessi rubino a differenza del CARAFA che porta più verso un colore marrone chiaro/nocciola.

LUPPOLI

Classicamente il luppolo tradizionale previsto per la CALIFORNIA COMMON è il NORTHERN BREWER – luppolo tedesco, incrocio tra il Brewer’s Gold ed il Canterbury Golding, utilizzabile sia in Amaro sia in Aroma, mediamente ha un AA 8-10%., ed è caratterizzato da un aroma di pino, erbe e menta. Il range di IBU, come abbiamo visto va da 30 a 45. Quindi birra “decisamente” amara. Volendo si può sbilanciare un pò l’apporto verso la fine della bollitura a 20min e 10min, cercando di far emergere anche l’aroma molto caratteristico. Un rapporto BU/SG piuttosto importante che si aggira attorno a 0,750, a riconferma del deciso amaro che va a bilanciare il corpo medio e la complessità derivante dal malto.

ACQUA

Sull’acqua cercherei un deciso bilanciamento tra SU/CL, sempre utilizzando un acqua piuttosto leggera come ad esempio la LEVISSIMA, e aggiungendo quel poco di sali per raggiungere il giusto bilanciamento tra Solfati e Cloruri.

MASH & BOIL

Sul MASH è certamente possibile andare verso un mono-step all’Inglese (67-68°C). Ma penso che venga naturale pensare cosa possa avere (o debba avere) di Inglese questa birra. Vero che il corpo è importante, ma altrettanto vero che è importante cercare un finale secco e croccante, classico di una bassa fermentazione – come sappiamo le birre inglese sono storicamente ALE, dove il malto e il corpo è il protagonista. Vero anche però che, come previsto da stile, andremo ad utilizzare un lievito LAGER, ma facendolo lavorare ad una temperatura leggermente più alta, che porterà a tempi di fermentazione più ridotti e probabilmente preservando un pò il corpo. A mio parere, cercare nel mash di estrarre un pò più di zuccheri semplici facilmente fermentabili con uno step anche a 62°C, potrebbe essere una buona strategia.

LIEVITO

Altro punto caratterizzante di questo stile è la fermentazione che non è bassa, non è alta, non è nemmeno spontanea, ma è uno dei casi di fermentazione ibrida. Mentre per gli altri 2 esempi, in Germania, di fermentazione ibrida, la KÖLSCH e la ALTBIER, abbiamo lieviti ALE fatti lavorare a basse temperature, in questo caso, all’opposto, abbiamo lieviti LAGER fatti lavorare a temperature più alte. Il BJCP definisce espressamente per questo stile lieviti LAGER, ma è ovvio che si possa pensare di utilizzare, in alternativa, un lievito ALE con un profilo pulito come l’US-05, fatto lavorare a temperatura leggermente più basse. In media diciamo che la temperatura di fermentazione è intorno ai 16-17°C. Vista la probabile velocità di fermentazione che ci si aspetta, soprattutto se si usa un lievito LAGER, è consigliabile uno step a 18-20°C per un veloce, ma opportuno, Diacetyl Rest (in verità è bene prevederlo sempre).

Altro punto caratterizzante – non so quanto abbia in realtà una conseguenza – ma certamente storicamente evocativo, la possibilità di prevedere una fermentazione in vasche larghe e aperte. Questo nel cercare di ripercorrere l’epica modalità di fermentazione della Steam Beer, sui tetti dei birrifici di San Francisco. Certamente la vasca larga e aperta dovrebbe migliorare, in fermentazione primaria, il contatto con l’ossigeno e sicuramente permettere un processo fermentativo diverso rispetto ad un fermentatore classicamente cilindrico e più alto che largo. Francamente, come detto, non so quanto questo metodo sia solo evocativo o quanto in realtà abbia una reale influenza sul processo di fermentazione. Certamente mettere in giardino o sul tetto del garage le vasche larghe con il mosto, non mi sembra una buona idea, a meno che non si voglia rischiare una quasi certa contaminazione con lieviti selvaggi. Si può provare a fermentare in vasche aperte, ma è consigliabile farlo all’interno di un Frigorifero precedentemente sanificato, dove riporre le vasche, e lasciar procedere la fermentazione primaria senza mai aprire la porta del frigorifero – in questo modo probabilmente la CO2 saturerà l’interno del frigorifero, assicurando la progressiva fuoriuscita dell’ossigeno, che troverà spazi per uscire attraverso la guarnizione della porta. Una volta che si ritiene che la fermentazione primaria sia quasi conclusa – suggerirei di non concluderla completamente – si può aprire la porta del frigorifero e chiudere con un coperchio le vasche, prima di procedere con il Diacetyl Rest, in modo che un eventuale (opportuna) successiva produzione di CO2 vada a saturare quello spazio di testa che rimane nelle vasche. A mio parere questo consentirà, al momento del travaso in KEG, dopo il Diacetyl Rest, di diminuire il più possibile il contatto con l’ossigeno, soprattutto se si riesce a chiudere i coperchi delle vasche con una guarnizione, serrando il più possibile, per consentire un minimo di pressione (1-2 psi), utile a far fuoriuscire la birra e trasferirla nel keg – come si fa normalmente con un classico fermentatore, anche di plastica alimentare.

CONFRONTO TRA STILI

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Partiamo con una affermazione: forse tra le birre americane – ricordo che la CALIFORNIA COMMON è una birra storicamente nata in America – è quella più tedesca tra le birre americane. Difficile fare confronti perché le sue peculiarità, dall’Aroma dato dal luppolo NORTHERN BREWER, alla sua fermentazione in vasca aperta con lieviti lager fatti lavorare a temperature più alte e concluse (quasi certamente) in tempi relativamente veloci, ne fanno una birra unica – questo ovviamente se ci si sofferma a queste sue peculiarità distintive. Come sempre, i tratti di stile previsti dal BJCP consentono sempre una interpretazione nel processo produttivo, come ad esempio, anziché utilizzare un lievito LAGER fatto lavorare a temperatura maggiore, optare per un lievito ALE fatto lavorare a temperatura minore, così come, anziché utilizzare il luppolo NORTHERN BREWER utilizzare altri luppoli tedeschi Nobili quali MITTLEFRUH o addirittura il famoso SAAZ Ceco. Di seguito, nel confronto di stile, possiamo prendere in considerazione birre sovrapponibili, solo se si “soprassiede” ai tratti peculiari che donano alla CALIFORNIA COMMON la sua unicità.

Innanzitutto diamo una occhiata alla Categoria 19 dove, la CALIFORNIA COMMON si trova in “compagnia” di una AMERICAN AMBER ALE e di una AMERICAN BROWN ALE. Si può affermare che nei numeri un minimo di sovrapposizione si intravede, ma non negli ingredienti e di conseguenza nel risultato. Intanto le altre 2 birre della categoria 19, sono, a pieno titolo, birre ALE, fermentate con lieviti ad alta fermentazione; anche l’apporto dei luppoli è ben distintivo e per la AMBER porta ad un risultato che recita:

Aroma di luppolo da basso a moderato che riflette le varietà di luppolo americano o del Nuovo Mondo (agrumi, floreali, pino, resina, spezie, frutta tropicale, drupacee, frutti di bosco o melone).

mentre la AMERICAN BROWN ALE, chiaramente più vicina alla AMERICAN AMBER ALE, aggiunge

Sapore di malto dolce o ricco di malto da medio a moderatamente alto con complessità del malto con sentori di cioccolato, caramello, nocciola o tostato; con amaro da medio a medio-alto; più sapori di cioccolato e caramello rispetto alle American Pale o Amber Ales, tipicamente con un bilanciamento minore sull’amaro.

Quindi entrambe non esattamente confrontabili con la CALIFORNIA COMMON che, come detto, non ha quel profilo spinto derivante dall’uso dei luppoli americani moderni (fruttato e/o citrico), e un corpo un pò meno “pesante” (anche se presente) e una bevibilità più vicina ad una LAGER.

Mentre il BJCP non si spinge oltre, noi proviamo viceversa a confrontarla con una birre ambrata, classicamente e tipicamente tedesca, come la ALTBIER di Düsseldorf. Vero che anche questa birra è una ALE, ovvero fermentata con l’utilizzo di un lievito ad alta fermentazione, ma fatto lavorare a temperature più basse – un pò il contraltare della CALIFORNIA COMMON. Infatti nella ALTBIER il risultato finale è molto più vicino ad una LAGER e il suo profilo, pulito, croccante e secco nel finale rappresenta un tratto distintivo di questa birra. Vi propongo, oltre al confronto dei numeri, un confronto di lettura della descrizione presa dalle linee guida BJCP 2015 tradotte in Italiano, da dove è chiara l’assoluta sovrapponibilità dei 2 stili.

CALIFORNIA COMMON: Gusto moderatamente di malto con un amaro pronunciato. Il carattere del malto è di solito tostato (non torrefatto) e caramellato. Gusto di luppolo da basso a moderatamente alto che evidenzia le qualità dei rustici luppoli tradizionali americani (spesso legnoso, rustico, menta). Finale fresco e abbastanza secco con amaro che persiste insieme al deciso gusto di malto e cereale. Accettabile una leggera presenza di esteri fruttati, altrimenti il gusto resta è pulito.

OG: 1.048 – 1.054 FG: 1.011 – 1.014 IBUs: 30 – 45SRM: 9 – 14ABV: 4.5 – 5.5%

ALTBIER: Gusto amaro deciso ma ben bilanciato dal carattere robusto, ma pulito e fresco, del malto. La presenza del malto è moderata da una attenuazione che va dal medio-alta ad alta, con gusti ricchi e complessi di malto e cereale che permangono. Alcuni esteri fruttati (ciliegia soprattutto) possono superare la lagerizzazione. Il finale persistente, da medio-secco a secco, dolce-amaro o di frutta secca riflette sia l’amaro del luppolo che la complessità del malto. La luppolatura speziata, pepata o floreale è da bassa a moderata. Nessun asprezza o torrefatto presenti. Il livello apparente di amaro è talvolta mascherato dal malto: l’amaro può sembrare basso o moderato se il finale non è molto secco. Opzionali note sulfuree o minerali.

OG: 1.044 – 1.052 FG: 1.008 – 1.014 IBUs: 25 – 50SRM: 9 – 17ABV: 4.3 – 5.5%

Come detto più sopra, il confronto prescinde dall’apporto molto distintivo, nella CALIFORNIA COMMON, del luppolo NORTHERN BREWER, che oggettivamente non è previsto nella ALTBIER, anche se, probabilmente grazie alle origini comuni, ha una forte assonanza verso i luppoli nobili Tedeschi.

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